La ricerca scientifica fa parte della ricchezza dei Paesi e contribuisce al loro status geopolitico. Al Congresso dell’Associazione Cinese per la Scienza e la Tecnologia del 2016, il presidente cinese Xi Jinping promise che la Repubblica Popolare Cinese sarebbe diventato uno dei paesi più innovativi del mondo entro il 2020 e nel centesimo anno della sua fondazione, nel 2049, una potenza scientifica globale. Nel 2019 la Cina è stata il primo paese per numero di richieste di brevetti internazionali, con oltre 58.000 domande e 3,6milioni a livello nazionale. Recentemente la Cina ha superato gli USA per numero di articoli di ricerca sebbene il loro impatto scientifico sia ancora relativamente modesto. Il blocco Atlantico non può non temere la politica sempre più assertiva della Cina in campo scientifico, a causa di una serie di fattori: alleanza operativa con Russia e Iran; aumento delle collaborazioni e delle presenze di scienziati e studenti cinesi nelle Università Europee; finanziamenti e studi condotti dalle Università Europee insieme a Istituzioni statali e militari in settori quali la difesa, le scienze informatiche, l’Intelligenza Artificiale, le scienze ottiche, delle comunicazioni e aereospaziali. In questo quadro che ruolo intende svolgere l’Europa? La lotta per competere a livello globale è fiaccata dalle criticità congiunturali e da un mercato frammentato, eppure l’obiettivo di rendere il continente un “digital champion” presuppone scelte strategiche di fondo che non possono essere frenate.