Un’accresciuta sensibilità per i temi ambientali ha rafforzato negli ultimi anni l’esigenza di inquadrare giuridicamente e sanzionare le azioni che compromettono lo stato naturale degli ecosistemi. A livello nazionale, questo ha portato all’introduzione di diversi reati ambientali nel Codice penale di alcuni Stati, soprattutto europei: tra gli altri, risale al 2015 l’istituzione in Italia del reato di “disastro ambientale”, mentre è ancora più recente la “Loi Climat” promulgata in Francia, che cita espressamente il termine “ecocidio”, con cui generalmente si indica un’opera di consapevole distruzione dell’ambiente naturale. Sul piano internazionale, rispondendo al bisogno di coinvolgere tutti gli attori in campo, negli ultimi anni è aumentata la sollecitazione da parte
di governi, ONG e gruppi di esperti affinché i reati ambientali siano introdotti nel diritto penale internazionale. In questa cornice, nel 2019 due Paesi, Vanuatu e le Maldive, hanno proposto di aggiungere l’ecocidio ai crimini di competenza della Corte Penale Internazionale (ICC). E nel 2021 una ONG ambientalista, la Stop Ecocide Foundation, la quale è impegnata da anni nella lotta per il riconoscimento del danno ambientale come un crimine internazionale, ha chiesto ad un gruppo di esperti di legge di concordare una definizione giuridica di ecocidio. In questo contesto, molte questioni restano ancora aperte. Ad esempio, se e fino a che punto sarebbe opportuno legittimare il danno ambientale per determinate ragioni antropiche? O ancora, sarebbe realmente utile introdurre la nozione di reati ambientali tra le competenze dell’ICC, considerando i molti limiti del diritto penale internazionale? Trovare una sintesi su queste ed altre questioni è compito urgente e fondamentale al fine di offrire una risposta efficace ai danni causati dall’uomo all’ambiente.