Il Principio di Precauzione è un principio giuridico e scientifico secondo cui, in caso di rischio di danni gravi o irreversibili per la salute umana o per l’ambiente, l’assenza di certezze scientifiche assolute non deve essere motivo per ritardare l’adozione di misure preventive. Questo principio ha trovato riconoscimento formale in numerosi trattati e norme internazionali, tra cui la Dichiarazione di Rio (1992, Principio 15) e il Trattato dell’Unione Europea (art. 191 TFUE per l’ambiente). Il principio di precauzione è stato applicato in modo rilevante dalla UE e dall’Italia in diversi settori, in particolare per l’Ambiente alla coltivazione di OGM (Organismi Geneticamente Modificati in campo aperto; con normative sulle emissioni industriali come contrasto ai cambiamenti del Clima e inquinamento atmosferico; all’uso di pesticidi e fitofarmaci in agricoltura. Inoltre per proteggere la Salute Pubblica e i consumatori europei negli anni 2000 furono adottate misure di prevenzione contro la diffusione della BSE (mucca pazza), per regolamentare l’uso di antenne e reti mobili e proteggere gli utenti dall’azione dei campi elettromagnetici; alcune misure di emergenza durante la pandemia da COVID-19. Il principio è spesso invocato nei contenziosi ambientali e sanitari contro opere pubbliche (come inceneritori, impianti industriali, ecc.). Il principio di precauzione è uno strumento fondamentale per bilanciare innovazione, rischio e protezione dei beni collettivi come la salute e l’ambiente. In Italia, la sua applicazione è stata particolarmente forte in campo ambientale e sanitario, ed è al centro di un dibattito giuridico, etico e scientifico molto vivace. Il principio di precauzione è da tempo oggetto di critiche perché alcuni studiosi sostengono che si traduca in un Blocco dell’innovazione e possa così ostacolare la ricerca, rallentare o impedire lo sviluppo tecnologico e scientifico, specialmente nei settori emergenti (biotecnologie, intelligenza artificiale, nanotech); scoraggiare investimenti privati e pubblici nella ricerca, per timore di regolamentazioni restrittive o di opposizioni sociali; favorire atteggiamenti conservatori anche quando il rischio è teorico o marginale; escludere l’approccio basato sull’“evidenza scientifica”, sostituendolo con logiche di tipo emotivo. Viene altresì accusato di basarsi su un’interpretazione troppo soggettiva dell’incertezza e quindi di ambiguità scientifica; infine il principio può essere politicizzato e strumentalizzato per giustificare decisioni ideologiche. In conclusione, Le critiche non negano l’utilità del principio in sé, ma mettono in discussione un suo uso distorto o strumentale da parte di enti pubblici o movimenti ideologici, la mancanza di bilanciamento tra protezione dal rischio e apertura all’innovazione, il fatto che la “non azione” può anch’essa produrre danni, soprattutto se si traduce in stagnazione tecnologica, perdita di competitività, o ritardo nella cura di malattie.
Introducono: Roberto Defez, Biotecnologo, ricercatore CNR; Saverio Corasaniti, Giudice Emerito TAR; Francesco Lapenta, John Cabot University
Modera: Pino Donghi, semiologo e comunicatore scientifico
Relatori: Francesca Biondo, Carlotta Ippoliti Martini, Serena Cedrini