I confini marittimi segnano i limiti tra le acque territoriali e il mare aperto dove la navigazione è soggetta solo alle norme del diritto internazionale. L’estensione delle acque territoriali, in passato, era limitata a tre miglia nautiche perché questa era la portata massima dei cannoni costieri: era, quindi, la fascia di mare veramente difendibile. Oggi la questione dell’estensione non è più tanto legata a questioni difensive (poiché i moderni missili possono attraversare i mari da un capo all’altro), ma piuttosto a interessi economici. Gli stati costieri tendono infatti ad espandere le proprie acque territoriali per garantire lo sfruttamento esclusivo delle risorse ittiche o dei depositi sottomarini. La Convenzione sul diritto del mare, firmata nel 1982 a Montego Bay, in Giamaica, ha cercato di mettere ordine nella questione delle acque territoriali fissandone l’estensione massima a 12 miglia nautiche dalla costa. Allo stesso tempo è stata riconosciuta l’esistenza di una cosiddetta “zona economica esclusiva” che si estende fino al limite delle 200 miglia nautiche dalla costa. Le risorse economiche ottenibili in questo braccio di mare appartengono allo Stato costiero, mentre per gli altri Stati restano impregiudicati il diritto di navigazione, di sorvolo e ogni altro diritto riconosciuto dalla consuetudine internazionale. Non tutti gli Stati hanno aderito a questa convenzione, e ciò lascia ancora spazio a frequenti e talvolta aspri disaccordi. La dimensione sottomarina che ospita gasdotti, linee elettriche, cavi Internet e di comunicazione ed estremamente ricca di minerali nei fondali marini, ecc., deve essere contestualizzata nell’attuale e futuro confronto geopolitico tra Stati Uniti e Cina. Per la Cina, espandere i suoi confini marittimi oltre Taiwan significa proiettare la sua deterrenza nucleare (soprattutto attraverso i sottomarini) più vicino agli Stati Uniti. Per la Russia, considerare i suoi confini 200 chilometri più vicini alla Finlandia espande la sua sfera di potere e allontana l’azione della NATO dal suo territorio. Con la fine del periodo post-Guerra Fredda dominato dagli Stati Uniti, è iniziata una nuova era di confronto e, purtroppo, non di cooperazione geopolitica, soprattutto nell’area indo-pacifica, divenuta il quadrante dello scontro tra gli Stati Uniti e i suoi alleati. e Cina. In questo contesto, il dominio sottomarino è diventato sempre più rilevante con l’emergere del concetto di consapevolezza dei rischi securitari associati alla crescente dipendenza e attività umana nelle profondità marine e alla possibilità che possa essere soggetto a sorveglianza o attacco doloso. Infatti, operare sotto la superficie, in assenza di un adeguato controllo dell’ambiente sottomarino, può portare ad azioni contrarie alla sicurezza e agli interessi nazionali, influenzando così lo svolgimento delle attività economiche, commerciali, civili e militari. I corridoi legati all’approvvigionamento energetico, alle risorse minerarie, alla connettività, ai gasdotti e agli oleodotti, nonché le dorsali di trasmissione del traffico dati rendono l’ambiente sottomarino strategico sotto molti aspetti e come tale vulnerabile all’influenza dei concorrenti, attraverso sottomarini e altri mezzi anche senza pilota, come come i droni sottomarini, che rappresentano una produzione industriale di punta nell’alta tecnologia e nel settore navale e della difesa. Un mare sempre più conteso e caotico, dove numerosi attori regionali aspirano a controllare e sfruttare porzioni crescenti delle profondità marine, e dove i disaccordi tra molti stati sulle rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE) portano in primo piano la questione dei confini sottomarini e la crescente attività di polizia sotto e sopra il mare e per potenziali conflitti.